Nell’antro che disegna il muro al margine del portone, un bicchierino di plastica beige ruzzola percorrendo eliche ovali sull’asfalto. Emette un suono cavo, tronco conico, che si avvita nelle orecchie ad ogni folata di vento. Intrappolato in quei due angoli retti, trasformato da rifiuto a strumento musicale, gratta le note che porta scritte nel fondo di quel caffè, bevuto da un parente in attesa, da un malato nell’ora d’aria.
Un grillo rincoglionito da tutto quell’umido, si ostina a cantare le sue note tra i rami di un ulivo, il quale si piega obbediente allo scirocco, incredulo che la pace possa tornare a raddrizzargli il tronco, le foglie.
Un’anziana fissa severa le giunture della corteccia e si stringe nella vestaglia blu, tirando una lunga boccata ad una sigaretta fumata a metà col vento. Chissà se anche lei ha notato che l’insetto canta solo quando tace il bicchiere, come se stesse provando un approccio amoroso, e che il bicchiere sembra rispondere con una voce interessata. Probabilmente sì, ha lo sguardo vispo la signora, oppure no.
Forse fa volare l’aquilone dei suoi ricordi in riva al mare in tempesta, con la sabbia finissima che finisce negli occhi, con i lampi ad illuminare a giorno il desiderio di tornare indietro e poi il tuono ad esortarla invece ad andare avanti, oltre.
Sicuramente è così, perché si asciuga gli occhi con il fazzoletto dando la colpa al vento, poi guarda il cielo per vedere se sono ancora alti quei ricordi, con attaccata tutta quella vita.
Tutto intorno, come foglie secche di acero, tùrbinano persone che entrano in ospedale, col tragitto curvo di chi non sa di preciso dove andare o quello di chi lo sa bene, ma temporeggia per rimandare la sensazione di impotenza che regala la malattia. Nei volti di chi esce si leggono i diversi pesi della fortuna, così come nel metro dei passi e nel mirino dello sguardo.
Nessuno si accorge del fiero cavaliere dai capelli bianchi con la camicia a quadri, armato di un mazzetto di margherite di campo. Nessuno tranne la signora con la vestaglia blu. Strizza gli occhi e aggrotta le sopracciglia per capire se ci vede bene, se veramente l’aquilone è atterrato a pochi metri da lei.
Ha il passo deciso quell’uomo, un bel sorriso rubizzo e gli occhi felici, come quelli di chi vede per la prima volta un gabbiano volare sul tramonto.
“Perché piangi, scema?” le dice in un orecchio, mentre la fa scomparire nel suo abbraccio.
Dietro le sbarre di un piccolo cortile, una rosa si nutre di quella bellissima alba. Fiera. Prigioniera. Viva.
Che bel gioiellino.
"Mi piace"Piace a 1 persona